Occorre tuttavia valutare se la "ratio legis" manifestamente evidente, possa superare in sede interpretativa gli ulteriori canoni ermeneutici che si sono affermati in materia di distinzione tra circostanza del reato e fattispecie autonoma.
Se non vogliamo disattendere tutta l'elaborazione dottrinale che si è sviluppata a partire da Pannain (1) fino a Mantovani (2), dobbiamo riconoscere che le circostanze del reato sono elementi inessenziali rispetto all'esistenza della stessa fattispecie criminosa.
Esse si pongono ai margini (circum-stare) sono accessorie, accidentali e pertanto incidono, anziché sull'esistenza del reato, sulla sua gravità determinando così un aggravamento o un'attenuazione della pena.
Il reato semplice diventa allora circostanziato nel senso che è aggravato o attenuato.
E' forse opportuno sottolineare che la questione non è sterilmente nominalistica.
Oltre agli effetti sulla pena, le circostanze rilevano talvolta anche materia di prescrizione del reato, di procedibilità, di competenza, di misure cautelari. Ed hanno un regime particolare anche in tema di elemento soggettivo e di concorso, nonché nelle modalità di contestazione processuale all'imputato.
Dottrina e giurisprudenza si sono perciò opportunamente affannate alla ricerca di un criterio discretivo che consenta di distinguere tra elemento costitutivo ed elemento circostanziante.
Si è allora giunti alla conclusione che le circostanze sono elementi specializzanti di corrispondenti elementi della fattispecie incriminatrice semplice, esse si pongono con questi in rapporto di "species" a "genus".
Pertanto non può considerarsi circostanza, bensì elemento costitutivo quell'elemento che, anziché specificare, si aggiunge o sostituisce.
Se dunque la differenza tra reato autonomo e circostanza va ricercata nell'essenzialità dell'elemento diverso o aggiuntivo previsto dalla norma, ne consegue che se l'elemento è essenziale e quindi costitutivo, è ravvisabile una fattispecie autonoma, altrimenti è configurabile una circostanza aggravante (3).
Analogamente se gli elementi oggettivi considerati dalla norma si aggiungono alle fattispecie incriminatrici già esistenti senza modificarne la struttura ed incidono unicamente sulla gravità dei reati e sulla misura della pena, allora siamo in presenza di circostanze del reato e non di fattispecie autonome.
E' tuttavia pur vero che la Suprema Corte (4) ha osservato che occorre di volta in volta verificare se "nella struttura della norma e nella correlazione tra le diverse disposizioni, il legislatore abbia attribuito ad un elemento il valore di semplice accidentalità con conseguente incidenza sulle sanzioni, oppure un significato così rilevante da incidere sul precetto, nel senso che esso elemento, per la natura costitutiva, determina la configurazione di un autonomo reato".
Alla luce di quanto sopra possiamo allora davvero concludere che è sufficiente incrementare la quantità di pena in modo direttamente proporzionale al livello alcolemico, per trasformare quelle che sembrano avere tutte le caratteristiche delle circostanze aggravanti in elementi costitutivi del reato?.
Possiamo innanzi tutto osservare che il legislatore si è astenuto dall'intervenire sul dato letterale del primo comma del nuovo art. 186 C.d.S. e della prima parte del secondo comma che contengono il precetto della norma: "è vietato guidare in stato di ebbrezza in conseguenza dell'uso di bevande alcoliche" e "chiunque guida in stato di ebbrezza è punito.."; limitandosi ad intervenire sul catalogo delle pene graduandolo in modo progressivo sulla base del riscontro tecnico rivelatore del dato quantitativo dell'alcol assunto.
Pertanto qualora l'ipotesi base sia da considerarsi quella di cui alla lett. a) e le varie casistiche di cui alle lett. b) e c) siano configurabili come circostanze aggravanti ne consegue che, in ipotesi di riconoscimento di una attenuante, deve essere effettuato il bilanciamento di cui all'art. 69 c.p. così che, in caso di giudizio di equivalenza o di prevalenza dell'attenuante, la pena da applicare dovrebbe essere quella di cui alla lett. a). Il risultato che ne deriverebbe è che l'intento del legislatore di inasprire le pene per le trasgressioni più gravi rischierebbe di essere frustrato.
Qualora invece si intendesse come elemento costitutivo del reato l'accertamento del tasso alcolemico non si presenterebbe alcun problema di bilanciamento tra circostanze, ma non sarebbe più possibile rilevare lo stato di ebbrezza anche da indici sintomatici quali l'alito vinoso, il linguaggio sconnesso, l'andatura barcollante, et similia, così che la fattispecie criminosa verrebbe integrata esclusivamente quando venisse accertato un tasso etilico superiore alla soglia minima stabilita dalla legge. Così passerebbero indenni da sanzioni coloro che guidano palesemente in stato di ubriachezza, ma nei cui confronti non sia possibile, per le ragioni più varie, accertare con esattezza l'indice alcolemico con la procedura ed i metodi indicati dalla legge(5), tuttavia il nuovo regime di graduazione delle pene sarebbe effettivo.
Sembrano invece presentare le caratteristiche proprie delle circostanze le previsioni di cui al comma 2 bis dell'art. 186 C.d.S. ed al comma 1 bis dell'art. 187 C.d.S. che sanzionano con il raddoppio della pena coloro che provocano un incidente stradale.
In attesa che dottrina e giurisprudenza risolvano tali dilemmi rimane la speranza che la tecnica legislativa, prima o poi, riesca ad affinarsi