Danno da mancata promozione e danno da perdita di chance
Il collegio stabilisce che Il danno derivante dalla perdita totale della capacità lavorativa è qualificabile come danno da mancata assunzione, per il contratto a termine immediatamente successivo, e come danno da perdita di chances, per le probabili future assunzioni.
Sul punto importante l’analisi di un recente arresto della Cassazione in cui si mette chiaramente in luce che “le domande di risarcimento del danno aventi per oggetto, da un lato, il pregiudizio derivante dalla mancata promozione (promozione configurata come sicura in caso di partecipazione al concorso) e, dall'altro, la perdita di «chance», cioè la mera probabilità di conseguire la promozione in conseguenza della partecipazione al concorso, costituiscono domande diverse, non ricomprese l'una nell'altra, in relazione alla diversità di fatti e circostanze da cui desumere l'entità della probabilità per l'interessato per vincere il concorso” (Cass., Sez. L., sent. 9.1.2003, n. 123).
Invero in tale sentenza la Cassazione aveva avuto premura di sottolineare non solo l’eterogeneità ontologica nel caso di illegittima esclusione del lavoratore dalla partecipazione ad un concorso per la promozione ad una qualifica superiore, tra il pregiudizio derivante dalla mancata promozione (promozione configurata come sicura in caso di partecipazione al concorso) e la perdita di chance, cioè la mera probabilità di conseguire la promozione in conseguenza della partecipazione al concorso; nell’occasione la Corte sottolineò come le domande di risarcimento dei danni suddetti “costituiscono domande diverse, non ricomprese l'una nell'altra, in relazione alla diversità di fatti e circostanze da cui desumere l'entità della probabilità per l'interessato per vincere il concorso” (Cass., Sez. L., sent. 9.1.2003, n. 123).
La Cassazione fa propria la tesi che afferma la duplice natura del danno da perdita ci chance: il danno de qua può manifestarsi nella sua forma eziologica consiste nella determinazione del risarcimento commisurata alla probabilità di sussistenza del nesso di causalità, attraverso l'utilizzo di una percentuale di riparazione proporzionale alla possibile esistenza del nesso stesso.
In tale ipotesi anche una mera possibilità, purchè concreta e attuale, di un danno futuro, iusta alligata et probata, sarà risarcibile.
Nella sua forma ontologica la chance è risarcibile in sè, in via autonoma dal bene finale.
Sono due figure di danno distinte: pertanto dovranno entrambe essere sottoposte all’attenzione del giudice e provate, anche con l’utilizzo di presunzioni o regole di esperienza.
In altra recente sentenza sul tema la Cassazione stabiliva che “il danno derivante dalla perdita di chance non è una mera aspettativa di fatto, ma una entità patrimoniale a sé stante, economicamente e giuridicamente suscettibile di autonoma valutazione, di cui l’interessato ha l’onere di provare, sia pure in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, i presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita, della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta” (Cassazione civile, sez. lavoro, sentenza 10.01.2007 n. 238).
Anche nella sentenza Cassazione civile, sez. lavoro, sentenza 18.01.2006 n. 852, si riprende l’orientamento secondo cui è necessario scindere la chance nelle sue due forme, ontologica ed eziologica, ed entrambe sono risarcibili.
A giudizio della Corte infatti occorre distinguere tra il danno da mancata promozione da quello di perdita di chance: nel primo caso, il lavoratore, che agisca per risarcimento del danno, deve provare sia l'illegittimità della procedura concorsuale sia che, in caso di legittimo espletamento, sarebbe stato certamente incluso nell'elenco dei promossi.
In tale ipotesi il collegio ritiene sussistente un danno emergente: il danno si è già prodotto nel patrimonio del lavoratore.
Nel secondo caso si fa valere il danno associato alla perdita di una probabilità non trascurabile di conseguire il risultato utile. Tale ipotesi consiste nel risarcimento del lucro cessante.
Partendo dalla distinzione così enucleata la Corte afferma che “mentre il danno da mancata promozione può trovare un ristoro corrispondente in pieno con la perdita dei vantaggi connessi alla superiore qualifica (non solo di natura economica, ma anche normativa), il danno da perdita di chance può solo commisurarsi, ma non identificarsi, nella perdita di quei vantaggi, in ragione del grado di probabilità - esistente al momento della legittima esclusione - di conseguire la promozione” (Cassazione civile, sez. lavoro, sentenza 18.01.2006 n. 852).
L’onere della prova
Il collegio si sofferma altresì sul necessario onere probatorio in capo al lavoratore: questi “al fine di ottenere il risarcimento per la perdita di una chance - tale dovendosi infatti qualificare la perdita di un'eventuale assunzione a tempo determinato - è necessario che il danneggiato dimostri la sussistenza di un valido nesso causale tra il danno e la ragionevole probabilità della verificazione futura del danno stesso e provi, quindi, la realizzazione in concreto di almeno di uno dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza diretta ed immediata”.
Anche in tal caso ci si richiamo alla tesi ormai predominante secondo cui quando il lavoratore lamenta il risarcimento danno per perdita di chance, “ha l'onere di provare gli elementi atti a dimostrare, pure se solo in modo presuntivo e basato sul calcolo della probabilità, la possibilità che avrebbe avuto di conseguire il superiore inquadramento” (Cass., Sez. L., sent. 9.1.2003, n. 123).
In ambito concorsuale e lavorativo giova ricordare il rilevante principio secondo cui non è ipotizzabile un nesso automatico tra assegnazione a mansioni inferiori e danno alla professionalità, suscettibile di autonomo risarcimento. È pertanto onere del lavoratore fornire la prova, anche mediante presunzioni, che ad esempio, il demansionamento ha prodotto un danno effettivo, che può concretizzarsi in una sottoutilizzazione delle sue capacità e in una conseguente apprezzabile menomazione - non transeunte - della sua professionalità, in perdita di chance, ovvero in perdita di ulteriori potenzialità occupazionali o di altre possibilità di guadagno.
Quando il lavoratore lamenta la violazione da parte del datore di lavoro dell'obbligo di osservare, nell'espletamento di una procedura concorsuale per la promozione ad una qualifica superiore, criteri di correttezza e buona fede in ordine allo svolgimento delle procedure e al rispetto della «par condicio» fra gli aspiranti, chiedendo il risarcimento dei danni derivantigli dalla perdita della possibilità di conseguire la promozione (perdita di «chance»), ha l'onere di provare anche gli elementi atti a dimostrare, pur se solo in modo presuntivo e basato sul calcolo del probabilità, la possibilità che egli avrebbe avuto di conseguire la promozione, atteso che la valutazione equitativa del danno, ai sensi dell'art. 1226 cod. civ., presuppone che risulti comprovata l'esistenza di un danno risarcibile (Cassazione civile, Sez. L., sent. 1.12.2004, n. 22524).
Chance e mobbing
È da segnalare un arresto del giudice amministrativo quale giudice del lavoro per i settori esclusi dalla privatizzazione del pubblico impiego in cui il danno da perdita di chance è visto quale conseguenza di comportamento scorretto di colleghi e superiori sul posto di lavoro (cd mobbing).
La sez. VI del Consiglio di Stato, con la sentenza 4 settembre 2006 n. 5087 stabilisce che “la lesione del diritto del lavoratore all'effettivo svolgimento della propria prestazione professionale costituisce inadempimento contrattuale e determina l'obbligo del risarcimento del danno c.d. professionale, che può assumere aspetti diversi in quanto può consistere sia nel danno patrimoniale derivante dall'impoverimento della capacità professionale acquisita dal lavoratore e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità, sia nel pregiudizio subito per perdita di "chance" ossia di ulteriori possibilità di guadagno sia in una lesione del diritto del lavoratore all'integrità fisica o, più in generale, alla salute ovvero all'immagine o alla vita di relazione”.
nota a cura di: Luca D'Apollo