A seguito di richiesta di rinvio a giudizio presentata dal Pubblico Ministero, * e * venivano ritualmente citati a comparire all’udienza preliminare del 3 luglio 2007 per rispondere del reato in rubrica loro ascritto. Rinviato il procedimento per l’adesione dei difensori all’astensione proclamata dall’Unione Camere Penali, all’odierna udienza i medesimi difensori, muniti di procura speciale, chiedevano che il procedimento venisse definito mediante giudizio abbreviato; accolta la richiesta sul rito, le parti formulavano e illustravano le rispettive conclusioni come in epigrafe riportate.
All’esito dell’udienza in camera di consiglio, il Giudice ritiene che la concorde richiesta presentata dalle parti debba essere accolta e che pertanto entrambi gli imputati debbano essere assolti dal reato loro ascritto perché il fatto non sussiste. La vicenda che ha dato origine al presente procedimento risale al 13 gennaio 2005, allorquando i carabinieri della stazione di C., avvisati telefonicamente del fatto che da un garage posto nel seminterrato del condominio ubicato in via Fiesso n. 7/2 (concesso in locazione da ** a ** ed effettivamente utilizzato dal figlio di questa, *) proveniva un “odore particolare”, procedevano al sequestro di un contenitore in plastica rettangolare contenente quattro vasetti nei quali erano state poste nove piantine di marijuana dell’altezza di circa 80 centimetri ciascuna, di un barattolo di alluminio contenente foglie di marijuana essiccata del peso complessivo di gr. 62,39, di una custodia rettangolare contenente una bilancina di precisione, di altre foglie di marijuana in fase di essiccazione del peso di gr. 45,73 e di un impianto di climatizzazione aria artigianale utilizzato per creare l’ambiente adatto per la coltivazione (v. documentazione fotografica in atti).
Rendendo spontanee dichiarazioni alla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 350 comma 7 c.p.p., * dichiarava di coltivare le piantine, insieme all’amico * (entrambi i giovani studiavano all’università) “per uso esclusivamente personale, quasi per hobby”; tutta l’attrezzatura – i semi, la lampada, il concime, il manuale per la coltivazione – erano stati da loro acquistati in due negozi di Bologna, uno dei quali posto vicino alla sede della Guardia di Finanza in via del Pratello.
Dai successivi accertamenti tecnici eseguiti dai carabinieri del reparto operativo del comando provinciale di Bologna emergeva che il peso complessivo della marijuana sequestrata era di complessivi gr. 278,4, con un principio Delta-9-THC puro di gr. 5,850.
Così riassunto il fatto – che non è in contestazione – rileva lo scrivente, in diritto, come la Corte Costituzionale, con la sentenza interpretativa di rigetto n. 360/1995, abbia evidenziato che, se è vero che mentre la detenzione è riferibile ad una quantità ben individuata di sostanza drogante – cosicché è possibile esprimersi in maniera prognostica sull’eventuale destinazione della stessa – la coltivazione, anche di pochi esemplari di piante, consente di rifornirsi nel tempo di una quantità non preventivabile di stupefacente (condotta, questa, conseguentemente connotata da un maggiore grado di pericolosità e dunque volutamente sottoposta dal legislatore ad una diversa disciplina), è altrettanto certo che compito del Giudice è comunque quello di valutare l’esistenza della effettiva offensività della condotta sottoposta al suo vaglio, al fine di verificare la riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta e dunque di accertare l’effettiva messa in pericolo del bene giuridico tutelato. A questo proposito la Suprema Corte di Cassazione (v., tra le altre, Cass. Sez. VI 12.7.1994, Imp. Gabriele) aveva in passato ritenuto che la coltivazione di piccole piante in vasi posti all’interno dell’abitazione doveva essere considerata sicuramente coltivazione “domestica” e non “tecnico – agraria” (v. artt. 26 e 28 D.P.R. n. 309/1990); da ultimo, con una sentenza che ripercorre in maniera completa la “storia” della normativa in tema di coltivazione di droga per consumo esclusivamente personale (quale è fuor di dubbio che sia quella del caso in questione: i due giovani imputati sono studenti universitari incensurati e non risultano in alcun modo legati e neppure vicini all’ambiente del traffico di sostanze stupefacenti), la giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. VI 18.1-10.5.2007 n. 17983, Imp. Notaro) ha affermato che “la coltivazione di piante da cui possano ricavarsi sostanze stupefacenti, che non si sostanzia nella coltivazione in senso tecnico – agrario ovvero imprenditoriale, e ciò per l’assenza di alcuni presupposti, quali la disponibilità del terreno, la sua preparazione, la semina, il governo dello sviluppo delle piante, la disponibilità per la raccolta dei prodotti e che, pertanto, rimane nell’ambito concettuale della c.d. coltivazione domestica, ricade, pur dopo la novella introdotta con la L. n. 49 del 2006 di conversione del D.L. n. 272 del 2005, nella nozione, di genere e di chiusura, della detenzione, sicché occorre verificare se, nella concreta vicenda, essa sia destinata ad uso esclusivamente personale del coltivato” (fattispecie in cui la Corte ha annullato senza rinvio, perché il fatto non sussiste, la sentenza di condanna dell’imputato che aveva coltivato nel proprio fondo cinque piante di marijuana). L’orientamento giurisprudenziale era citato pare il più ragionevole per risolvere il caso di specie, in cui non vi sono dubbi sulla destinazione ad uso personale delle – invero assai modeste – quantità di marijuana ricavabili dalla coltivazione nel garage (lo sforzo dei due giovani di utilizzare un’attrezzatura utile a “incrementare” la crescita delle piantine è stato direttamente proporzionale all’inospitalità dell’ambiente: un seminterrato condominiale); una diversa decisione sarebbe da considerare come irragionevole per una condotta che, in concreto, non può essere differenziata, per l’orientamento vigente, da quella del consumatore che acquisti “modeste” dosi di droga da consumare personalmente (secondo il sistema “tabellare”introdotto dalla legge n. 49/2006).
Consegue comunque alla presente decisione, ai sensi dell’art. 87 D.P.R. n. 309/1990, la confisca della sostanza stupefacente e delle altre cose sequestrate, da destinare alla distruzione.
All’esito dell’udienza in camera di consiglio, il Giudice ritiene che la concorde richiesta presentata dalle parti debba essere accolta e che pertanto entrambi gli imputati debbano essere assolti dal reato loro ascritto perché il fatto non sussiste. La vicenda che ha dato origine al presente procedimento risale al 13 gennaio 2005, allorquando i carabinieri della stazione di C., avvisati telefonicamente del fatto che da un garage posto nel seminterrato del condominio ubicato in via Fiesso n. 7/2 (concesso in locazione da ** a ** ed effettivamente utilizzato dal figlio di questa, *) proveniva un “odore particolare”, procedevano al sequestro di un contenitore in plastica rettangolare contenente quattro vasetti nei quali erano state poste nove piantine di marijuana dell’altezza di circa 80 centimetri ciascuna, di un barattolo di alluminio contenente foglie di marijuana essiccata del peso complessivo di gr. 62,39, di una custodia rettangolare contenente una bilancina di precisione, di altre foglie di marijuana in fase di essiccazione del peso di gr. 45,73 e di un impianto di climatizzazione aria artigianale utilizzato per creare l’ambiente adatto per la coltivazione (v. documentazione fotografica in atti).
Rendendo spontanee dichiarazioni alla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 350 comma 7 c.p.p., * dichiarava di coltivare le piantine, insieme all’amico * (entrambi i giovani studiavano all’università) “per uso esclusivamente personale, quasi per hobby”; tutta l’attrezzatura – i semi, la lampada, il concime, il manuale per la coltivazione – erano stati da loro acquistati in due negozi di Bologna, uno dei quali posto vicino alla sede della Guardia di Finanza in via del Pratello.
Dai successivi accertamenti tecnici eseguiti dai carabinieri del reparto operativo del comando provinciale di Bologna emergeva che il peso complessivo della marijuana sequestrata era di complessivi gr. 278,4, con un principio Delta-9-THC puro di gr. 5,850.
Così riassunto il fatto – che non è in contestazione – rileva lo scrivente, in diritto, come la Corte Costituzionale, con la sentenza interpretativa di rigetto n. 360/1995, abbia evidenziato che, se è vero che mentre la detenzione è riferibile ad una quantità ben individuata di sostanza drogante – cosicché è possibile esprimersi in maniera prognostica sull’eventuale destinazione della stessa – la coltivazione, anche di pochi esemplari di piante, consente di rifornirsi nel tempo di una quantità non preventivabile di stupefacente (condotta, questa, conseguentemente connotata da un maggiore grado di pericolosità e dunque volutamente sottoposta dal legislatore ad una diversa disciplina), è altrettanto certo che compito del Giudice è comunque quello di valutare l’esistenza della effettiva offensività della condotta sottoposta al suo vaglio, al fine di verificare la riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta e dunque di accertare l’effettiva messa in pericolo del bene giuridico tutelato. A questo proposito la Suprema Corte di Cassazione (v., tra le altre, Cass. Sez. VI 12.7.1994, Imp. Gabriele) aveva in passato ritenuto che la coltivazione di piccole piante in vasi posti all’interno dell’abitazione doveva essere considerata sicuramente coltivazione “domestica” e non “tecnico – agraria” (v. artt. 26 e 28 D.P.R. n. 309/1990); da ultimo, con una sentenza che ripercorre in maniera completa la “storia” della normativa in tema di coltivazione di droga per consumo esclusivamente personale (quale è fuor di dubbio che sia quella del caso in questione: i due giovani imputati sono studenti universitari incensurati e non risultano in alcun modo legati e neppure vicini all’ambiente del traffico di sostanze stupefacenti), la giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. VI 18.1-10.5.2007 n. 17983, Imp. Notaro) ha affermato che “la coltivazione di piante da cui possano ricavarsi sostanze stupefacenti, che non si sostanzia nella coltivazione in senso tecnico – agrario ovvero imprenditoriale, e ciò per l’assenza di alcuni presupposti, quali la disponibilità del terreno, la sua preparazione, la semina, il governo dello sviluppo delle piante, la disponibilità per la raccolta dei prodotti e che, pertanto, rimane nell’ambito concettuale della c.d. coltivazione domestica, ricade, pur dopo la novella introdotta con la L. n. 49 del 2006 di conversione del D.L. n. 272 del 2005, nella nozione, di genere e di chiusura, della detenzione, sicché occorre verificare se, nella concreta vicenda, essa sia destinata ad uso esclusivamente personale del coltivato” (fattispecie in cui la Corte ha annullato senza rinvio, perché il fatto non sussiste, la sentenza di condanna dell’imputato che aveva coltivato nel proprio fondo cinque piante di marijuana). L’orientamento giurisprudenziale era citato pare il più ragionevole per risolvere il caso di specie, in cui non vi sono dubbi sulla destinazione ad uso personale delle – invero assai modeste – quantità di marijuana ricavabili dalla coltivazione nel garage (lo sforzo dei due giovani di utilizzare un’attrezzatura utile a “incrementare” la crescita delle piantine è stato direttamente proporzionale all’inospitalità dell’ambiente: un seminterrato condominiale); una diversa decisione sarebbe da considerare come irragionevole per una condotta che, in concreto, non può essere differenziata, per l’orientamento vigente, da quella del consumatore che acquisti “modeste” dosi di droga da consumare personalmente (secondo il sistema “tabellare”introdotto dalla legge n. 49/2006).
Consegue comunque alla presente decisione, ai sensi dell’art. 87 D.P.R. n. 309/1990, la confisca della sostanza stupefacente e delle altre cose sequestrate, da destinare alla distruzione.
PQM
Visti gli artt. 442, 530 c.p.p., assolve X e Y dal reato loro ascritto perché il fatto non sussiste.
Visto l’art. 87 D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, ordina la confisca delle sostanze stupefacenti e delle altre cose in sequestro e ne dispone la distruzione, a cura dell’autorità che eseguì il sequestro.
Visto l’art. 87 D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, ordina la confisca delle sostanze stupefacenti e delle altre cose in sequestro e ne dispone la distruzione, a cura dell’autorità che eseguì il sequestro.