E’ un importante segnale quello che giunge dalla ordinanza 28661/07 pronunziata dalla Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione all’udienza del 29 Marzo u.s. e pubblicata in questi giorni, con la quale si rimette al giudizio delle SS.UU. il tema della sanzionabilità di condotte di spaccio di stupefacenti che abbiano ad oggetto un quantitativo di sostanza che presenti un principio attivo inferiore alla cd. soglia drogante.
In buona sostanza, la S.C. ha innescato un timer destinato a scandire l’ora di una deflagrazione estremamente rovinosa e dirompente gli schemi vigenti, in quanto suscettibile di modificare in toto la visione che ad oggi persiste.
Essa si fonda, infatti, su due assiomi, il principio di nozione legale che ammanta lo stupefacente e la concezione per la quale la punibilità delle condotte in questione prescinda dal concetto di reale offensività.
Soprattutto, con riferimento al secondo profilo interpretativo, si è più volte sostenuto l’indirizzo, per cui l'inidoneità dell'azione, relativamente alle fattispecie previste dall'art. 73 del D.P.R. n. 309/90, vada valutata unicamente avuto riguardo ai beni oggetto della tutela penale, individuabili in quelli della salute pubblica, della sicurezza e dell'ordine pubblico e della salvaguardia delle giovani generazioni, beni che sono messi in pericolo anche dallo spaccio di dosi contenenti un principio attivo al di sotto della soglia drogante.
Su tale abbrivio, la IV Sezione della corte Suprema, con la nota sentenza 15 Maggio 2003, n. 29958 (rv. 225127), De Paoli, CED Cassazione, 2003, pervenne all’affermazione per cui “In tema di stupefacenti, scopo dell'incriminazione delle condotte previste dall'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 è quello di combattere il mercato della droga, espellendolo dal circuito nazionale poiché, proprio attraverso la cessione al consumatore viene realizzata la circolazione della droga e viene alimentato il mercato di essa che mette in pericolo la salute pubblica, la sicurezza e l'ordine pubblico, nonché il normale sviluppo delle giovani generazioni. Ne consegue che, avendo, nel nostro ordinamento, la nozione di stupefacente natura legale - nel senso che sono soggette alla normativa che ne vieta la circolazione tutte e soltanto le sostanze specificamente indicate negli elenchi appositamente predisposti - la circostanza che il principio attivo contenuto nella singola sostanza oggetto di spaccio possa non superare la cosiddetta "soglia drogante", in mancanza di ogni riferimento parametrico previsto per legge o per decreto, non ha rilevanza ai fini della punibilità del fatto”.
Si è giunti, così in coerenza di un simile principio, a ritenere, addirittura sanzionabile una fattispecie di illecita detenzione e vendita di sostanza stupefacente contenente mg. 13,4 di eroina-base (sic!), soluzione che suscitò e suscita tuttora fortissime e resistenti perplessità per il suo connotato di profonda illogicità.1
Nel caso di cui in nota, poi, il Collegio ritenne configurata l'ipotesi della lieve entità in una fattispecie di illecita detenzione e vendita di due bustine di sostanza stupefacente contenenti rispettivamente gr. 0,20 e gr. 0,133 di eroina - base, considerata la tipologia qualitativa e quantitativa delle dosi di eroina unitamente all'assenza di contestuale detenzione da parte dell'imputato di plurime dosi pronte per essere commercializzate
Vi è, dunque, da domandarsi (e ci si è domandato vanamente sino ad oggi) quale effetto penalmente rilevante possa avere effettivamente la cessione di un composto (compendio non può essere altrimenti definito) che non integra gli estremi della dose drogante e che, pertanto, è insuscettibile di indurre ad effetti psicotropi in chi lo assuma.
Si tratta, quindi, del medesimo quesito che i giudici della Suprema Corte si sono posti nel caso oggetto dell’ordinanza in commento e che ha devoluto ogni decisione alle SS.UU..
Ed il dubbio insorto appare ancora più sensato ed adeguato alla realtà dei fatti, perché esso supera e scompagina un orientamento che aveva trovato stabilizzazione nell’intervento deciso e decisivo delle Sezioni. Unite, 24-06-1998, n. 9973, Kremi2 (cui il Collegio opera espresso rinvio), il quale aveva sottolineato una demagogica tensione finalistica dell’ordinamento, e della normativa specifica, di pervenire all’espulsione del mercato della droga dal circuito nazionale, aspirazione tanto nobile, quanto astratta ed (ahimè) irrealizzabile.
Tale visione irrealistica del problema, mirava ad un coinvolgimento, sotto il profilo sanzionatorio di condotte che presentano tra loro crismi di assoluta diversità sul piano della concreta offensività, cioè su quel piano che più di qualsiasi altro elemento incide ai fini della rilevanza penalistica del comportamento del singolo soggetto.
L’azione che si pone in essere, infatti, deve avere in sé il germe dell’idoneità a vulnerare effettivamente una situazione di diritto esistente e fruibile da parte di una persona o di una pluralità di persone.
La capacità che il gesto (od i gesti) dell’attore siano suscettivi ad incidere (e siano incidenti) nella realtà ontologica e naturalistica di un’altra persona, ledendola o limitando il godimento della sua posizione giuridica tutelata, rendono l’atto rilevante per l’ordinamento penale.
E che si debba riscontrare, sempre e comunque, la presenza di un’offesa minima al bene protetto è regola che non tollera devianza anche in materia di reati di pericolo astratto o presunto [Cfr. Cass. pen. Sez. IV, 28-04-2006, n. 24249 (rv. 234416)], sicchè non si può seriamente ritenere azionabile una deroga in un ambito quale quello in esame, dove esiste una possibilità di verifica – in ogni caso concreto - della nozione scientifica di capacità psicotropa della sostanza nei confronti dell’assuntore.
A maggiore ragione, poi, va detto che l’intervento del Collegio, che si commenta, appare veramente opportuno e provvidenziale, sol che si pensi alla necessità di pervenire ad un’armonizzazione dei criteri valutativi che devono presiedere a situazioni tra loro sufficientemente omogenee.
Va, infatti, ricordato come in materia di coltivazione la giurisprudenza di legittimità (seppur prima della recente svolta giurisprudenziale che ha assimilato tale condotta, in talune situazioni quantitativamente valutate, alla detenzione per uso personale) si sia sostenuto che “Solo l'assenza o insufficienza di effetto drogante della sostanza coltivata consente di escludere l'offensività della condotta, configurandosi così il reato impossibile previsto dall'articolo 49 cod.pen.”. [Cass. pen. Sez. IV, 17-10-2006, n. 40295 (rv. 235425), Q.C., CED Cassazione, 2006].
Il che sta a dire che se il parametro della capacità drogante, o della soglia drogante, viene preso seriamente e decisivamente in esame in tale descritta situazione, perché esso non dovrebbe avere un univoco corso di applicazione anche in altra occasione, rispetto alle quali il principio può apparire ben consono?
Non resta, quindi, che attendere, tenendo a portata di mano i noti attrezzi utili per gli scongiuri, in quanto troppe volte attese fiduciose sono state lunghe e vane.
Auguriamoci che non sia così in questa occasione e che la nozione di soglia drogante assuma valenza di discrimine fra condotte sanzionabili e condotte non punibili, evitando omologazioni che appaiono ingiuste.
nota a cura dell'Avv. Carlo Alberto Zaina