Il comportamento di chi si limita ad importunare ed a molestare le persone, col telefono o altro mezzo simile o, ancora, per strada, in Italia viene punito, seppur in maniera blanda, dall'art. 660 del Codice Penale.
In un precedente verdetto, 1 non molto lontano nel tempo ed analogo tra l'altro al caso di specie, la Suprema Corte, aveva confermato la condanna a 1.000 €. di multa ad una donna che aveva fatto una telefonata “muta” di pochi secondi alla rivale in amore, affermando che “la telefonata, anche se muta, era idonea ad interferire sulla libertà della persona chiamata e tale da ostacolare il suo lavoro per petulanza o altro biasimevole motivo”.
Alla medesima conclusione era giunta anche nel 2003, con la Sentenza n. 35554, con la quale stabilì che “riattaccare il telefono senza parlare è comportamento molesto”.2
Dello stesso parere e con decisio affine anche il Tribunale di Roma che il 12 luglio del 2000 pronunciò sentenza con la quale ritenne che: “la quotidiana effettuazione di numerose telefonate alla stessa utenza telefonica, ripetute per molti mesi, integra gli estremi di reato di cui all'art. 660 c.p.”, deliberando inoltre che “al destinatario delle telefonate spetta il risarcimento per danno morale”.
Diverso orientamento invece seguì nel 2001.
Alcune persone erano state svegliate in piena notte dallo squillo del telefono e quando rispondevano l' altro/a metteva giù la cornetta.
Per i Giudici della Suprema Corte tale comportamento non costituisce molestia, a patto che lo “scherzetto” non si ripeta con troppa insistenza.3
Del tutto dissimile è la sentenza n. 19718 della Prima Sezione del 24 marzo 2005.
Secondo quest' ultima, infatti, “il reato di molestie telefoniche previsto dall'art. 660 c.p. non è reato abituale e, quindi, si consuma, ricorrendone gli estremi, anche con una sola azione (per esempio, con una sola telefonata molesta fatta per biasimevole motivo)”.
Le molestie telefoniche sono previste e regolate dall'ordinamento in quanto costituiscono il reato di cui all'art. 660 del Codice Penale, se fatte per petulanza o altro biasimevole motivo4, con l'effetto di arrecare al destinatario disturbo.
Al fine di selezionare nell'ambito del disturbo le ipotesi di reato che costituiscono anche danno ingiusto, l'ordinamento si preoccupa di introdurre “filtri” sotto il profilo del reato di cui all'art. 660 del Codice Penale, richiedendo un ulteriore dato, quale l'elemento soggettivo costituito e rappresentato da “petulanza” o da un “biasimevole motivo”.
Ciò comporta sia per la giurisprudenza sia per la dottrina in tanto ricorre il reato di molestie telefoniche in quanto sussiste l'elemento soggettivo del dolo 5, non escluso dall'esercizio del diritto, anche se nel dibattito del bene giuridico tutelato ex art. 660, si ritiene che il diritto vivente abbia inteso tutelare non già l'ordine pubblico o la pubblica tranquillità, bensì la quiete privata e la tranquillità personale.
Un “grido d'allarme”, proviene anche dal Centro Tutela Consumatori Utenti (CTCU), dove arrivano numerose le segnalazioni di “vittime-bersagli” di molestie telefoniche. Gli addetti ai lavori hanno soprannominato il fenomeno “stalking”, termine inglese, prestato dal linguaggio dei cacciatori, che significa propriamente “appostarsi”. Nel frattempo, questo termine si è modificato nel senso di indicare qualcuno che, contro la volontà dell'altro, segue o molesta una persona. Le manifestazioni sono diverse, ma sicuramente, sempre secondo tale fonte,6 le più frequenti sembrano essere quelle telefoniche.
E' di quanto si è resa colpevole la sig.ra C.O., attuando nei confronti di una sua conoscente un comportamento volto ad importunarla più volte e ripetutamente nel tempo, motivo per cui la Corte Suprema ha deciso così di condannarla.