Danno esistenziale

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

Sezione terza civile

Sentenza 15 febbraio 2007, n. 3462

(Presidente Preden – Relatore Scarano)

Svolgimento del processo

Con atto di citazione ritualmente notificato i sigg.ri L.B. e D.M. convenivano la società CTM Srl avanti al Giudice di Pace di Bari per ivi sentir dichiarare risolto il contratto di trasporto per la tratta Peschici ‑ Isole Tremiti ‑ Peschici a bordo della motonave “Onda Azzurra” per fatto e colpa della convenuta, “atteso il previsto peggioramento, da parte dei bollettini meteo, delle condizioni climatiche e la prevedibile impossibilità del viaggio di ritorno”; nonché condannare la medesima al risarcimento dei danni sia contrattuali sia ex articolo 2043 c.c. conseguentemente sofferti, indicati nell’ammontare di euro 1.032,00 - o quello dal giudicante in via equitativa diversamente determinato entro i limiti di cui all’articolo 113, comma 2, c.p.c. -, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria a far data dalla domanda.

Nella resistenza della società convenuta l’adito Giudice di Pace in accoglimento della domanda condannava la società CTM Srl al pagamento di euro 1.032,00 in favore di ciascuno degli attori, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria dalla domanda al saldo, con rifusione delle spese di lite.

Avverso la detta sentenza la società CTM Srl propone ora ricorso per cassazione, sulla base di due motivi.

Resistono con controricorso, illustrato da memoria, i sigg.ri B. e M..

Motivi della decisione

Con il 10 motivo la società ricorrente denunzia violazione dell’articolo 246 c.p.c., in riferimento all’articolo 360, comma 1, n. 4, c.p.c..

Lamenta che siano stati escussi i testi Perrellí e Fermentino, incapaci a testimoniare ex articolo 246 c.p.c., in quanto anch’essi passeggeri della motonave nel trasporto de quo e pertanto aventi “titolo a intervenire quantomeno in via autonoma nel detto giudizio per le stesse ragioni e titoli vantati dagli attori”, in spregio invero dell’eccezione sollevata all’udienza anteriormente all’inizio dell’assunzione della prova.

Sì duole dell’erroneità della motivazione resa al riguardo dal giudicante, che ha ritenuto i suddetti testi «escutibili per il solo fatto di non essere intervenuti nel presente giudizio, pur potendo promuoverne una autonomo, qualificando l’interesse del teste “di mero fatto”.».

Il motivo é infondato.

Va anzitutto premesso che le Sezioni Unite di questa Corte hanno tracciato, con la sentenza 716/99 (con argomentazioni condivise dalla successiva giurisprudenza e anche da questo collegio i limiti del controllo esercitabile in sede di legittimità nei confronti delle sentenze pronunziate dal Giudice di Pace secondo equità, enunciando il principio secondo cui tali sentenze sono ricorribili per cassazione, per violazione delle norme processuali, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2 e 4 (in quest’ultimo caso sotto il profilo della nullità della sentenza per violazione dell’articolo 132, comma 1, n. 4, c.p.c. e articolo 118, comma 2, seconda parte, disp. att. c.p.c., che rispettivamente impongono al giudice di indicare concisamente i motivi della decisione e, in particolare, le ragioni di equità sulle quali essa sia fondata; nonché con riferimento alle ipotesi di inesistenza della motivazione), tenendo presente il carattere non sillogistico bensì intuitivo del giudizio dì equità; v. Cassazione, 8620/06; 16254/05; 16004/03 ; nonché ai sensi del n. 5 del medesimo articolo, quando l’enunciazione del criterio di equità adottato risulti inficiata da un vizio che, attenendo ad un punto decisivo della controversia, si risolva in un’ipotesi di mera apparenza, ovvero di radicale ed insanabile contraddittorietà della motivazione; mentre la censura di violazione della legge sostanziale ai sensi del n. 3 del citato articolo 360 c.p.c. è consentita soltanto in caso di inosservanza o falsa applicazione della Costituzione e delle norme comunitarie, se di rango superiore a quelle ordinarie (v. Cassazione 17144/06; 16939/03).

Nella specie, risultando denunziata la violazione di norma processuale, la censura è ammissibile (cfr. Cassazione 2842/01).

La stessa risulta peraltro infondata.

Osservato anzitutto che, vertendosi in tema di error in procedendo, questa Corte può verificare gli atti tramite diretto esame, va posto in rilievo come nella specie l’eccezione di incapacità ex articolo 246 c.p.c. risulta invero sanata.

Sollevata ritualmente dal procuratore del convenuto prima dell’inizio della prova, essa non è stata infatti riproposta all’esito dell’escussione dei suìndicati testi.

A tale stregua, è rimasto disatteso il principio posto da questa Corte in base al quale, poiché le disposizioni limitative della capacità dei testimoni sono dettate nell’esclusivo interesse delle parti, la relativa inosservanza va denunziata al momento dell’espletamento della prova (o nella prima udienza successiva, nel caso in cui il procuratore della parte interessata non sia stato presente all’assunzione del mezzo istruttorio), rimanendo altrimenti la nullità sanata ai sensi dell’articolo 157, comma 2, c.p.c. (v. Cassazione 903/06), senza che in contrario possa riconoscersi rilievo all’eccezione d’incapacità di testimoniare a norma del citato articolo 246 c.p.c. ( che si identifica con l’interesse a proporre la domanda o a contraddirvi di cui all’articolo 100 c.p.c. ) formulata anteriormente al relativo espletamento, non essendo quest’ultima comprensiva dell’eccezione di nullitá della testimonianza comunque ammessa ed assunta nonostante la previa opposizione (v. Cassazione 11377/06; 9553/02; 5534/97).

Con il secondo motivo la ricorrente denunzia contraddittoria ed insanabile motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’articolo 360, comma 1, n. 5, c.p.c..

Si duole che il giudice di pace abbia ritenuto sussistere la sua responsabilità sulla base di una motivazione «assolutamente fantasiosa», in «aperta contraddizione con le risultanze processuali e, in particolare, con le deposizioni testimoniali rese da tutti i testi ». Sicchè la ritenuta «prevedibile impossibilità del viaggio di ritorno nello stesso giorno sul presupposto che ... le condizioni metereologiche erano previste in peggioramento in ragione dei depositati bollettini meteorologici e l’11 agosto 2001 doveva prevedersi il tempo brutto e l’impossibilità di tornare dalle Isole Tremiti», risultava in particolare «smentita» dai «bollettini in atti, che prevedevano condizioni di tempo buono per l’11 agosto 2001 per la tratta Peschici ‑ Isole Tremiti».

Lamenta che siano stati dal giudice stravolti fatti obiettivi, immotivatamente affermando essere i testi Labbate e Primiano inattendibili, in quanto essi «volevano occultare proprie responsabilità»; e che «la motonave Ondazzurra non aveva la capacità di affrontare neanche il mare forza quattro», non tenendo al riguardo invero neanche conto del «certificato di idoneità in atti rilasciato dal Rina e valido fino al marzo 2004 ove si classifica la nave Ondazzurra abilitata alla navigazione, con apparecchi di salvataggio per complessive 360 persone (tanti ne può trasportare tra equipaggio e passeggeri)».

Deduce che, diversamente da quanto ritenuto nell’impugnata sentenza, «l’evento che ha causato il permanere sulle Isole Tremiti dei passeggeri della motonave Ondazzurra è da qualificarsi come assolutamente imprevedibile ed eccezionale e non dovuto a colpa del vettore».

Lamenta che ancor più immotivato è poi «l’addebito» fattole nell’ascriverle il mancato ritorno «sulla terra ferma da parte dei passeggeri col traghetto dell’Adriatica», attesa la pacifica circostanza che «il comandante della C.T.M. era sulla nave e non in banchina e, quindi, non poteva contattare nessuno», e che «ove i passeggeri avessero optato per il rientro con il traghetto dell’Adriatica, certamente non gli poteva essere ciò impedito dalla C.T.M., che non doveva fare accordi di nessun tipo con nessuno».

Si duole della assoluta mancanza di motivazione in ordine al riconosciuto diritto delle controparti al preteso risarcimento dei danni, «atteso che tra i testi escussi nessuno ha potuto affermare che proprio la

B. ed il M. avevano dormito in giacigli di fortuna, e, subìito altri disagi».

Il motivo è inammissibile.

Stante i sopra richiamati limiti di ammissìbilità del ricorso per cassazione avverso le sentenze del Giudice di Pace emesse secondo equità, va invero escluso che nel caso la motivazione possa dirsi meramente apparente o insanabilmente contraddittoria.

Il Giudice di Pace ha infatti posto in rilievo essere rimasto nel caso accertato, alla stregua delle risultanze probatorie (documentali e testimoniali) acquisite, che «le previsioni metereologiche ... sin dal 10 agosto prevedevano condizioni metereologiche avverse», con «precipitazioni temporalesche», che localmente avrebbero potuto assumere «carattere di forte intensità» anche su Abruzzo e Molise a partire «dalle prime ore della giornata di sabato 11 agosto, e per le successive 12 - 18 ore», per poi nel corso della mattinata trasferirsi «sulle restanti regioni adriatiche».

Ha al riguardo osservato che «queste previsioni non potevano e non dovevano essere ignorate dalla C.T.M., stante da un lato la modesta stazza delle proprie navi abilitate a navigare solo in condizioni meteomarine favorevoli, e dall’altro la pesantissima responsabilità che la C.T.M. si assumeva col trasporto di 300 persone non solo per il viaggio da Peschici alle Tremiti alle 9,30, ma anche dovendo provvedere al ritorno alle ore 17 dello stesso giorno». E che «l’aver ignorato queste chiare previsioni meteo costituisce colpa grave della convenuta, specie in ragione dell’esercizio professionale dell’attività da essa svolta, violando l’obbligo di particolare diligenza richiesto dal comma 2 dell’articolo 1176 c.c... La verità è che da Peschici quel mattino la m/n Onda Azzurra non doveva partire e il Comandante la Capitaneria non doveva autorizzare la partenza, essendo tutt’altro che certa ( e doveva essere certa ) la possibilità di un rientro pomeridiano con la m/n Onda Azzurra dalle Tremiti a Peschici ... Il fatto che gli eventi metereologici intervenuti nel primo pomeriggio si manifestarono con una violenza ancora maggiore del previsto non sposta di una virgola la grave responsabilità della convenuta, attesa che, indipendentemente dalla tromba d’aria, l’Onda Azzurra non aveva comunque la capacità di affrontare il mare mosso con un carico di 300 passeggeri con il vento forza 7, e neanche con vento forza 4. E non basta … la C.T.M. ... preferì lasciare 300 persone in condizioni estremamente precarie per quasi 24 ore pur di non pagare qualche soldo in più alla Adriatica rispetto al costo del biglietto pagato dai passeggeri. Ironia della sorte il giorno dopo … fu comunque costretta a far rientrare i passeggeri con navi dell’Adriatica. I disagi, le traversie, le afflizioni, e le allucinanti difficoltà cui furono sottoposti i passeggeri, costretti a trascorrere la notte presso un museo e una chiesa, con giacigli di fortuna sul pavimento e coperte fornite dai Carabinieri, dal Sindaco e dalla protezione civile, in condizioni igieniche facilmente intuibili sia perché i passeggeri non avevano previsto la permanenza alle Tremiti fino al giorno dopo, e sia per la mancanza di alberghi alle Tremiti, configurano appieno la responsabilità per fatto colposo della C.T.M., ai sensi dell’articolo 2043 c.c., per l’ingiusto danno procurato ai passeggeri. A questo danno si aggiunge che i passeggeri furono privati della possibilità di provvedere alle loro normali occupazioni per tutto il giorno successivo a quello che doveva essere una gita di piacere».

Ha quindi concluso sottolineando che la «fattispecie realizza anche il cosiddetto danno esistenziale, inteso come peggioramento della sfera personale determinato da alterazione, ad opera del fatto illecito di un terzo, delle normali attività quotidiane, quali le attività familiari, sociali, di svago, di riposo, di relax, cui ciascun soggetto ha diritto, e che incidono nella sfera psichíca del soggetto leso in relazione alla diversa sensibilità individuale e struttura della personalità».

Orbene, emerge evidente come debba escludersi che la motivazione nel caso possa ritenersi solo formalmente sussistente e meramente apparente (cfr. Cassazione 6593/06; 27730/05 ), essendo viceversa da essa senz’altro possibile evincersi pienamente la ratío decidendi (cfr. Cassazione 21112/05; 9393/03; 8335/03), da individuarsi nella ravvisata responsabilità dell’odierna ricorrente in ragione del comportamento nella vicenda mantenuto.

Comportamento espressamente indicato come non conforme all’adeguata diligenza dovuta in relazione alle circostanze concrete del caso nell’adempimento dell’ obbligazione contrattuale assunta, e in particolare alla diligenza qualificata di cui all’articolo 1176, comma 2, c.c., che come questa corte ha già avuto modo di precisare si estrinseca (sia il debitore professionista o imprenditore) nell’adeguato sforzo tecnico, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili, in relazione alla natura dell’attività esercitata, volto all’adempimento della prestazione dovuta ed al soddisfacimento dell’interesse creditorio, nonché ad evitare possibili eventi dannosi v., da ultimo, Cassazione 12995/06.

Nell’impugnata sentenza viene altresì espressamente evocato e censurato il mancato accordo dell’odierna ricorrente con la società dei traghetti Adriatica, si da consentire ai passeggeri il rientro in serata sul continente, evitando così il pernottamento di fortuna sull’isola («la C.T.M. ... preferì lasciare 300 persone in condizioni estremamente precarie per quasi 24 ore pur di non pagare qualche soldo in più alla Adriatica rispetto al costo del biglietto pagato dai passeggeri»), inteso quale comportamento fonte di responsabilità extracontrattuale ex articolo 2043 c.c., ed invero più correttamente da ricondursi alla violazione dell’obbligo dì buona fede oggettiva o correttezza, quale generale principio dì solidarietà sociale che trova applicazione in ambito sia contrattuale che extracontrattuale, imponendo al soggetto di mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale - specificantesi in obblighi di informazione e di avviso - nonché volto alla salvaguardia dell’utilità altrui, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio cfr. v. Cassazione 3651/06).

Il rigetto del ricorso comporta la condanna della società ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in. dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 800,00, di cui 700,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma il 3 novembre 2006.